La cultura si mangia
Sono passati tre anni da quando Giulio Tremonti, all’epoca ministro dell’Economia, giustificò gli ennesimi tagli ai fondi statali per le attività culturali, affermando – più o meno – che “la cultura non si mangia”.
Nel frattempo il dibattito sul patrimonio culturale come “petrolio dell’Italia”, ovvero come possibilità di sviluppo economico, si è più volte riaffacciato sul web e sulla carta stampata (meno in tv, ma non stupisce), senza che la classe dirigente del nostro paese (quasi tutta) dimostrasse verso l’argomento, nei fatti, il benché minimo interesse.
Se effettivamente in Italia è difficile “mangiare di cultura”, assai più facile e alla portata di tutti è però “mangiare la cultura”. Da questa idea, o meglio dalla convinzione che – fuor di metafora – un territorio lo si possa anche assaggiare, assaporare attraverso il cibo è nato nel 2005 il progetto Un paese e cento storie – l’Italia, a cena in famiglia!©. Idea che nelle mani delle Cuoche di Belvedere Fogliense di Tavullia, minuscolo borgo tra Pesaro, la Romagna e il Montefeltro, ha da subito trovato sapiente espressione, fino a contagiare nel 2012 una decina di altre località dei dintorni, attirando ospiti da tutta Italia.
Forti di questa esperienza dal 2013 proviamo a dire la nostra su un modello (un modellino) di cultura. Certo, nel piccolissimo di un’esperienza ancora giovane, realizzata con poche risorse attentamente centellinate ma in grado di contare su un budget ricchissimo di attenzione, generosità ed entusiasmo, che ha reso indimenticabile l’incontro di tante persone con la nostra festa.
Già. Perché il cuore di Un paese e cento storie è proprio questo: la possibilità, per due sere l’anno, di incontrare un paese in cucina o nel tinello marron, di conoscere i luoghi attraverso le voci delle persone che li hanno costruiti, ascoltarne le storie e rievocarne le figure mitiche seduti intorno alla tavola apparecchiata con il servizio buono; magari, arrivati al caffè, indugiare su un album di vecchie foto, per salutarsi come vecchi amici. Insomma, dare un volto – un gusto – al genius loci.
Da un paio d’anni Un paese e cento storie prova ad ampliare lo sguardo, esce dalla cucina per abbracciare interi paesi. Alle “cene in famiglia”, esperienza di “invito al buio” ormai ampiamente diffusa, si affianca l’idea che per un fine settimana gli abitanti raccontano il loro paese facendosene guide, interpreti, ciceroni, per dire la storia di ogni vicolo, muro, casa e palazzo. Lì abitava l’Adolfa, che il marito era nella Merica, laggiù invece stava il notaio con la signora Emma, sa, lei era dei Ruggeri… . In chiesa il beato Ugolino – o Santa Marcellina o la tavola del Quattrocento o il Crocefisso miracoloso; la torre civica che risale al Mille, la camera dove ha dormito Garibaldi (o la fonte dove Napoleone ha abbeverato il suo cavallo), la farmacia sulla piazza: quell’Italia da cartolina che faremmo bene a non liquidare come una stucchevole boule de neige, e che dovremmo invece imparare a guardare con occhi grati.
Se queste poche righe vi hanno incuriosito, veniteci a trovare. Vi aspettiamo!
Cristina Ortolani
concept Un paese e cento storie