
La trappola del locale, da “Il territorio messo in scena” di Chiara Rabbiosi
Sapori autentici, prodotti tipici, enogastronomia del territorio. Ma quale complesso sistema di relazioni racchiude realmente l’espressione “cibo locale”? Ce lo spiega Chiara Rabbiosi nel suo nuovo libro Il territorio messo in scena
Locale, tipico, autentico! Ditemi un po’ se non sono le caratteristiche che cercate in un cibo quando, magari viaggiando, volete riempirvi lo stomaco oppure comprare un regalo speciale. Eppure rappresentano espressioni vischiose, per quanto funzionino benissimo nel linguaggio comune in cui le diamo per scontate. Se invece le esplorassimo con un po’ più di attenzione, scopriremmo che tendono a nascondere un sistema di relazioni complesso tra ciò che è qui e ciò che è là; tra uomini, animali, elementi organici e inorganici; tra materialità delle cose e loro rappresentazione.
Ad esempio, …mentre si sente parlare di “cocacolonizzazione” del mondo, si assiste contemporaneamente a un revival alimentare, che se da un lato porta alla rivalutazione di cibi e tecniche di produzione e di consumo a rischio di estinzione, dall’altro può dare adito ad altri processi critici. È il caso, ad esempio, della “trappola del locale”…, espressione utilizzata per indicare un processo con il quale si astrae la dimensione del locale dal flusso delle relazioni sociali e spaziali globali in cui è sempre immersa, attribuendo, inoltre, valore positivo senza scrutinio a prodotti e pratiche alimentari che con il locale si fanno combaciare. (…) Oggi studiare la relazione tra cibo, territorio e cultura significa spostare l’attenzione dai sistemi agroalimentari a quelli agrogastronomici, includendo le attività che collegano la produzione agricola a turismo, heritage culturale e branding territoriale. …Non solo i prodotti tipici sono associati a un’immagine della regione in grado di sviluppare processi distintivi che possono fare da traino allo sviluppo locale – diventando ideologicamente “metonimia di un territorio”… -, ma il cibo è anche un elemento particolarmente potente nello stimolare processi di autenticazione e di spazializzazione dell’Alterità al cuore della pratica turistica, consentendone anche l’incorporazione (attraverso il consumo) e il trasferimento (ad esempio attraverso l’acquisto di un prodotto alimentare tipico da portare a casa come souvenir).
…I turisti contribuiscono a impedire la “caduta” del cibo in quanto patrimonio culturale nella già citata “trappola del locale”: le tradizioni alimentari, come altre forme di heritage, diventano significative in parte proprio grazie all’interazione con un pubblico esogeno che stimola, attraverso il confronto, processi di appropriazione e volontà di tutela e valorizzazione presso gli attori locali…. Anche il cibo locale trascende sempre i confini all’interno dei quali sembra essere protetto ed è immerso in un sistema di flussi. Oggi, uno di questi sistemi di flussi, è rappresentato dagli assemblaggi attraverso i quali si realizza il suo processo di patrimonializzazione. Il “tipico” del cibo locale in quanto patrimonio culturale richiede una costruzione di senso e una valutazione normativa da parte di politiche sempre più sovralocali e di fenomeni di flusso eminentemente cosmopoliti, quali sono quelli turistici. Non è esente inoltre da una costruzione di tipo ideologico tale per cui alcuni prodotti sono genericamente considerati come “tipici”, ma sono invece espressioni di altri luoghi: si pensi al tè, simbolo di englishness, o al caffè, simbolo d’italianità, ma che in fondo sono prodotti coloniali provenienti da altri continenti.
Per proseguire l’approfondimento di queste riflessioni nella loro interezza rimando al libro Il territorio messo in scena. Turismo, consumi luoghi (Mimesis Edizioni, 2018), da cui questo passaggio è estratto.

