
La selva di San Nicola in Valmanente
Lambisce il centro cittadino eppure conserva il carattere arcano degli antichi boschi sacri: è la selva di San Nicola in Valmanente, sulle colline pesaresi
Evocare il genius loci sospinge l’animo entro una dimensione umana ancestrale, in quasi un tornare a camminare a piedi nudi con lo sguardo rivolto al di là della faccia visibile del mondo. Idea antica è quella di una forza naturale creativa che un luogo esprime nell’intreccio delle sue cose. E così profonda, che persino si credeva che genii fossero l’acqua, la terra, l’aria, il fuoco, gli elementi che generavano quelle cose. Senza genio, allora, non era nessun luogo (nullus locus sine genio).
Il progresso dei tempi ha arricchito di nuovi significati il genius loci, lo ha reso la metafora laica dell’identità moderna di un ambiente nei suoi caratteri sociali e culturali. Resta forte, tuttavia, il potente richiamo della forza generatrice della natura che si percepisce in un luogo particolare dei colli pesaresi.
Due lembi boschivi adagiati sul molle declivio di una valle di origine preistorica a sud della città formano le Selve di San Nicola in Valmanente. Sono i relitti dell’antico manto forestale, un tempo un tutto unico, la cui degradazione risale ad epoca remota, così come per la vegetazione cosiddetta nemorale nel pesarese, con una forte accelerazione dalla fine dell’Ottocento alle due guerre.
Tuttavia, queste selve, dette anche dei Castagni per l’abbondanza di tali piante, e conosciute ai più come meta di passeggiate, sono un bosco ancora notevole. Una emergenza botanica, secondo il naturalista Enrico Tosi, non tanto per l’estensione dell’annosa macchia verde quanto piuttosto per i caratteri floristici e vegetazionali noti già da secoli, nei lavori del forlivese Cesare Majoli (Plantarum collectio) o dei marchigiani Petrucci, Guidi e gli altri. Oggi vi si comprendono specie vegetali localmente rare, che le hanno fatte rientrare nei Siti di interesse comunitario (SIC) e nelle Zone di protezione speciale (ZPS) per la salvaguardia della biodiversità di habitat naturali e selvatici.
Popolazioni primitive percorsero con il loro sacro arcaico questa valle e le terre comprese tra Pesaro e Novilara. Numerosi i corredi funerari rinvenuti e fu forse in San Nicola di Valmanente che nel 1860 avvenne la scoperta della famosa stele picena, oggi al Museo Oliveriano di Pesaro.
Una natura suggestiva, ma anche temibile alimenta la Valmanente, che significa “valle dei morti”. La geologia rileva la presenza di strati di sabbia, che ancora compare in superficie dopo piogge abbondanti. Nel medioevo era un terreno paludoso, non pochi furono coloro che vi perirono: manentes in vagis arenis, e cioè rimasto, deceduto nelle sabbie mobili, come l’agostiniano Giuseppe Concetti leggeva nei libri di memorie.
Forse l’inaccessibilità di questi spazi spinse i frati a costruirvi l’eremo, uno dei più suggestivi luoghi agostiniani del Duecento. San Nicola vi soggiornò e la sua visione fu centrale nella elaborazione della teologia dei suffragi e del purgatorio. Non va dimenticata inoltre, nel Seicento, la permanenza dell’illustre concittadino Ludovico Zacconi, conventuale dell’eremo.
Tutto ciò il paesaggio della Valmanente riecheggia e attraversandola ora dal fondovalle, scrutandola ora dall’alto della collina, non cessa la meraviglia che genera.

