San Martino 2018
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11/11/2018 – San Martino e laDirce

Per il suo 13° compleanno ho deciso di regalare alla Dirce un post su San Martino di Tours, il “santo del mantello” che si festeggia l’11 novembre, giorno nel quale laDirce si è presentata al pubblico per la prima volta in un ormai leggendario pomeriggio di nebbia del 2005.

Ne abbiamo parlato spesso sul blog ma sfogliando i post degli anni passati mi sono accorta che non ho mai dedicato spazio all’origine del culto di San Martino e ho deciso di correre ai ripari. 
La nebbia, le castagne, il vino novello, le olive e l’olio nuovo, le veglie: sono tenacemente affezionata all’idea delle stagioni e alle tradizioni dell’11 novembre aggiungo l’Estate di San Martino, anche se purtroppo il riscaldamento globale ne rende sempre meno netti i contorni. Ma perché San Martino è così importante nel nostro calendario?

Anche la festa di San Martino di Tours, che si celebra l’11 novembre, è un capo d’anno perché si riallaccia al Samuin celtico che durava per una decina di giorni. Oggi questa funzione è meno evidente di un tempo, quando a San Martino cominciava l’attività dei tribunali, delle scuole e dei Parlamenti, si tenevano le elezioni municipali, si pagavano fittanze, rendite e locazioni, venivano rinnovati i contratti agrari oppure si traslocava, tant’è vero che oggi ancora si dice “far San Martino” per traslocare.

Alfredo Cattabiani, Calendario

Sono sempre alla ricerca di Capodanni alternativi (proporrei il 1° settembre, per esempio, o magari il Labor Day, che negli U.S.A. si celebra sempre in settembre, il primo lunedì del mese) e di sicuro aggiungerò l’11 novembre alla mia lista. Abbiamo proprio bisogno di nuovi inizi.

San Martino, le tradizioni

Protettore di cavalieri e soldati (anche delle Guardie svizzere vaticane), viaggiatori, mendicanti, osti e albergatori, secondo alcuni anche dei sarti, a San Martino sono intitolati un gran numero di paesi, villaggi e chiese: in Francia, nazione della quale è patrono, queste ultime sono oltre 4.000, in Italia più di 900. A Santarcangelo di Romagna, poco distante da casa della Dirce, il nome di San Martino è associato a una fiera agricola nata per la compravendita di prodotti della terra, attrezzi e bestiame, conosciuta come la fira di becch ovvero la fiera dei cornuti: coraggioso chi sfida le corna appese all’arco di piazza Ganganelli, che secondo la tradizione si muovono proprio al passaggio di un cornuto. (Sì, certo, magari c’entra qualcosa anche il vento di novembre).

In Veneto, Lombardia e Piemonte si banchetta con l’oca, animale legato all’iconografia di San Martino per via di due leggende: sarebbero state proprio le oche a rivelare con le loro strida il nascondiglio del futuro santo quando rifiutava di accettare la carica di vescovo di Tours; inoltre, secondo Sulpicio Severo, discepolo e primo biografo di Martino, questi avrebbe scacciato dalla riva di un fiume alcuni uccelli predatori, indicandoli come l’immagine di Satana e ingiungendo loro di ritirarsi dove non avrebbero potuto nuocere. In realtà pare si trattasse di cormorani ma, dicono gli agiografi, passarono alla tradizione come oche, animali sacri ai Celti che li consideravano messaggeri divini incaricati di accompagnare le anime nell’aldilà. E comunque, dato che le oche migrano all’avvicinarsi del freddo, non è difficile procurarsene una per il pranzo del giorno di festa. 

A proposito di aldilà, ecco un assaggio di Novembre da I Mesi di Fabio Tombari, scrittore vissuto a lungo tra Marche e Romagna.

Novembre, quando l’autunno funziona da inverno, e nelle sere di nebbia gli uomini sembrano fatti della materia dei sogni…

Fabio Tombari, I Mesi

In Italia San Martino si festeggia con dolci (in Sicilia ma non solo i pani di San Martino, a Venezia la cotognata e un dolce glassato, in altre zone la cicerchiata e i biscotti) e falò (per esempio in Val di Fiemme e in Abruzzo), specie negli oltre 100 paesi posti sotto la sua protezione. 

San Martino, la storia

Venerato da cattolici, copti e ortodossi, San Martino è ritenuto uno dei fondatori del monachesimo in Occidente ed è uno dei primi santi non martiri proclamati dalla Chiesa. 
Nato in Pannonia (Ungheria) nel 317 da genitori pagani, costretto dal padre Martino si arruolò giovanissimo nell’esercito imperiale ma già a dieci anni si era avvicinato al cristianesimo; a ventun anni fu battezzato in Gallia (Francia) dove prestava servizio. A proposito di nomi: Martino significa “sacro a Marte”, dio della guerra.

La leggenda vuole che la svolta decisiva della sua vita avvenisse alle porte di Amiens, quando il giovane soldato, ancora catecumeno, donò a un povero la metà del proprio mantello, dopo averlo tagliato in due con la spada. La notte successiva, Martino vide in sogno che il Cristo stesso era rivestito del mantello che egli aveva offerto a quel mendicante.

Martino di Tours, dal Martirologio della Comunità di Bose

A 25 anni lascia l’esercito e, dopo aver viaggiato a lungo dai Balcani alla penisola iberica, torna in Francia dove fonda a Ligugé una comunità di asceti ritenuta il primo monastero europeo. Nel 371, riluttante, Martino è eletto vescovo di Tours: assolve al suo ruolo senza abbandonare la vita monastica anzi, raduna intorno a sé una nuova comunità nell’eremo di Marmoutier dove vive in una capanna nel bosco operando miracoli e consacrandosi all’assistenza ai poveri. Morì l’8 novembre 397 a Candes-Saint-Martin ma i suoi funerali si celebrarono a Tours l’11 novembre, alla presenza di una folla giunta da ogni dove. Il corteo funebre era preceduto da duemila monaci e monache, che accompagnarono le spoglie di Martino fino al luogo dove sarebbe sorta la basilica a lui dedicata.

Il mantello

La cappa (chape) ritenuta di San Martino fu conservata dai re di Francia (i Merovingi e poi i Carolingi) nel loro oratorio privato, la “cappella”.  La reliquia accompagnava l’esercito francese in guerra e in tempo di pace garantiva i giuramenti solenni. Il custode della cappa era chiamato cappellano (chapelaine).
Prima di essere un piccolo luogo consacrato la cappella è dunque la cappa dimezzata di Martino, per la precisione la clamide del cavaliere, il mantello di lana di origine greca fermato su una spalla da una spilla o una borchia.
San Martino è solitamente raffigurato come un soldato a cavallo, mentre con la spada taglia il mantello per donarlo al povero.
Intorno al 1315 Simone Martini ad Assisi ne celebra le storie in dieci affreschi di grande eleganza; sul finire del XVI secolo El Greco lo riveste di un’armatura damaschinata.  

E il Capodanno celtico? Ormai Halloween si studia alle elementari, dunque abbiamo familiarità con Samhain/Samuin, ovvero l’inizio del nuovo anno fissato dai Celti nella notte tra il 31 ottobre e il 1 novembre. La festa si prolungava per una decina di giorni, più o meno coincidenti con il periodo della semina: quando cioè si prepara la nuova vita che rinascerà in primavera.
Sì, sono proprio contenta che il compleanno della Dirce sia l’11 novembre.

Spero che questa piccola digressione su San Martino vi sia piaciuta.
Per scriverla mi sono servita soprattutto di libri: sotto trovate qualche titolo, nel caso vogliate approfondire. E’ stato piacevole prendersi mezza giornata per ritrovare il gusto di lasciar vagare la mente tra connessioni di carta, riaprire pagine che non prendevo in mano da anni. Credo che lo farò più spesso.

Adesso tocca a te. Qual è la tua tradizione di San Martino? Se ti va, condividila nei commenti. I tuoi ricordi sono i benvenuti 🙂

Fonti e tracce

Alfredo Cattabiani, Calendario, Rusconi, Milano 1994
Rosa Giorgi, Santi, I Dizionari dell’Arte, Mondadori Electa, Milano 2002
Fabio Tombari, I Mesi, IPL, Milano 1971


Ricercatrice free-lance e content editor, laureata tra parola e immagine al DAMS di Bologna, dal 1996 racconta attraverso libri (oltre venti), mostre e progetti multimediali la memoria delle comunità locali tra Marche e Romagna, con sempre più frequenti incursioni in altri territori. Per il web e la carta stampata si è occupata anche di teatro, costume e lifestyle. È nata nel 1965 a Pesaro, dove vive e lavora.

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