
Monticchiello, un paese in teatro
Un teatro condiviso
Difficile leggere l’esperienza del Teatro Povero con le tradizionali categorie (teatro amatoriale, popolare, di piazza, teatro verità…): è fenomeno teatrale, e tuttora lascia intravedere tratti in comune con le sacre rappresentazioni così sentite in Toscana, ma la sua vitalità chiama in causa, oltre a critici e studiosi di teatro anche antropologi, storici, letterati. Autodramma della gente di Monticchiello è la dicitura che accompagna le rappresentazioni; sintesi efficace di ciò che ogni estate, per una ventina di giorni, è offerto agli occhi, al cuore e alla coscienza degli spettatori. Perché ogni anno si torna a Monticchiello con intatta curiosità nei confronti di un’esperienza così particolare? Perché qui si ha l’impressione di assistere a un evento davvero unico, che sembra riportare alle radici primordiali del teatro (Palazzi 2015). Personalmente, seduta in Piazza della Commenda sotto la luna di fine luglio ho sperimentato – non senza una certa sorpresa – la possibilità di partecipare alla costruzione di una memoria intessuta di vicende quotidiane, di essere testimone di quella magia necessaria che è il teatro, nella sua essenza più profonda.
Ogni testo si rappresenta per una sola stagione e nasce da una metodologia di scrittura partecipata. Dal momento della stampa a quello della prima rappresentazione il copione potrà subire variazioni anche significative, avvertono in apertura i programmi di sala, a rimarcare la natura in divenire di un lavoro condiviso. L’assemblea degli abitanti del borgo e dei membri della compagnia si confronta per mesi, dialogando con un gruppo ristretto ‘eletto’ all’interno e incaricato di trasformare in proposte teatrali le suggestioni dell’assemblea. Discreta ma imprescindibile figura di raccordo nella stesura dei copioni è dal 1981 Andrea Cresti, tra i fondatori del Teatro povero, che dallo stesso anno firma anche le regie.

L’autodramma
Dopo i primi due spettacoli incentrati su vicende medioevali (L’eroina di Monticchiello e Il mercante pazzo), rievocate dalle ricerche di don Vasco Neri, storico e parroco di Monticchiello dal 1964 al 1978 il primo, vero autodramma è del 1969; con uno scarto decisivo per la drammaturgia del Teatro Povero, il paese mette in scena dopo 25 anni una pagina ancora viva del proprio passato, la “battaglia di Monticchiello” del 6 aprile 1944. Il testo è composto da Mario Guidotti, al quale gli abitanti del borgo affidano i loro ricordi dopo il rifiuto di Indro Montanelli, impegnato con la Storia d’Italia e di Carlo Cassola, allora alle prese con il romanzo Paura e tristezza (Semmola 2016). Addetto stampa della Camera dei Deputati per 40 anni e poi del Presidente Pertini, poliziano di origini monticchiellesi, Guidotti è considerato uno dei protagonisti della rinascita toscana. A lui si deve il nome di Teatro Povero, mutuato dall’opera di Jerzy Grotowski (fu invece Strehler, sempre negli anni ’70, a coniare il termine “autodramma”). Regista è fino al 1980 Arnaldo Della Giovampaola, geometra di Pienza con competenze di teatro.
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