Montecchio di Vallefoglia, 2008 - Luciano Cardellini
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Montecchio (Vallefoglia). Dodici uova, e i fratelli Cardellini

Dal 1991 fino al primo decennio del 2000 Luciano, Mario e Silvano Cardellini (Burdón è il soprannome della famiglia) hanno coltivato orgogliosamente, in qualità di proprietari, le terre per oltre un secolo lavorate a mezzadria dai loro antenati. Avvenuto durante le ricerche svolte per il libro Un paese lungo la strada. Montecchio, storie e memorie tra XVI e XX secolo, subito l’incontro con i fratelli Cardellini si è imposto per la sua peculiarità. Luoghi, oggetti, modi e anche pensieri: tutto parlava di un’epoca lontana, assai più lontana degli anni Cinquanta del mobile da cucina smaltato aperto in dispensa, o dell’età indefinita di quegli attrezzi levigati da secoli di lavoro, ancora vivissimi, a differenza dei loro colleghi pensionati nei musei della civiltà rurale.

Montecchio di Vallefoglia, 2008. Luciano Cardellini
Montecchio di Vallefoglia, aprile 2008. Luciano Cardellini (foto C. Ortolani)

Dagli anni Settanta del ‘900 gli insediamenti industriali hanno profondamente modificato l’assetto di una zona un tempo colorata dai pescheti: forte il contrasto tra la casa colonica, microcosmo immutato dal dopoguerra e i capannoni dai quali era circondata che, molti ci avrebbero scommesso, prima o poi avrebbero finito per inghiottirla con tutto il corredo di uomini, attrezzi e animali. Già nel 2008, però, era netta la percezione che a soccombere sarebbero stati i prefabbricati bianchi, vicino al fiume pronto a rivendicare i propri diritti su quella terra grassa, da sempre utilizzata per vasellame e mattoni.

Montecchio di Vallefoglia - podere Cardellini
Montecchio di Vallefoglia, aprile 2008. L’insediamento industriale dell’Arena e il monte di Montecchio visti dal podere Cardellini

Dieci anni dopo

Montecchio di Vallefoglia, aprile 2018. A distanza di quasi dieci anni è nitido il ricordo delle dodici uova fresche che il signor Luciano mi consegnò in un sacchetto di carta marrone prima di salutarmidottoressa, se non si offende…. Ma quale offesa, magari averle tutti i giorni uova così. Gli zabaioni gialli e fragranti di cristalli di zucchero che ne erano usciti nei giorni successivi all’incontro mi avevano immediatamente riportato alle ore trascorse da bambina a guardare il nonno, venditore all’ingrosso di uova e pollame, intento a “passare le uova”, cioè a verificare alla luce di una lampada rudimentale, ricavata da una latta di olio inchiodata a una tavola, la perfezione di ogni singolo tuorlo (e che l’uovo non contenesse pulcini). Operazione che mi è sempre parsa misteriosa e delicatissima, singolare, anche, almeno fino a quando non ho letto nel libro di Paolo Di Stefano (Ogni altra vita. Storie di italiani non illustri) di Adriano di Scicli, anche lui venditore di uova.

Allo zabaione del nonno Sergio le uova del signor Luciano hanno aggiunto un’altra madeleine, ponendosi come sigillo di un’esperienza paradigmatica. La casa colonica dei Cardellini (le case, sarebbe più corretto dire, visto che nella stessa occasione i tre fratelli mi mostrarono fieri una seconda abitazione, più moderna, a poche centinaia di metri dal podere: qui veniamo quando c’è qualche occasione speciale o quando stiamo male, commentò Luciano, c’è il riscaldamento) non era la sola a punteggiare le zone industriali lungo il Foglia e l’Apsa, poco più su. Era però, indubbiamente, una delle più suggestive, così caparbiamente ancorata alle tradizioni, ed è forse per questo che ha raggiunto subito nella mia memoria lo status di sentinella, quasi il valore di un monito. Qui tra vent’anni sarà tutto coperto dall’edera, com’erano le case dei contadini che abbiamo buttato giù.

Da molto ormai i Cardellini non abitano più la loro fattoria; i capannoni ci sono ancora (molti sembrano in verità rassegnati a una netta riconversione), ma i pescheti stanno riaffermando i loro diritti: sono sempre di più nei dintorni i giovani che si dedicano con successo all’agricoltura, crescono le imprese green e lungo la Montelabbatese (strada statale 423), sono tornati ad affacciarsi i produttori con i loro banchetti improvvisati, rigogliosi di ortaggi e frutta di stagione.

Se capitate da queste parti fermatevi per un cesto di ciliegie o di pesche, e magari proseguite per qualche chilometro fino a San Tommaso in Foglia (Apsella di Montelabbate) per stupirvi di fronte alla bellissima Badia, recuperata pietra su pietra da don Zenaldo Del Vecchio e dichiarata monumento nazionale. Un’altra perla sopravvissuta ai mutamenti della storia, della quale presto tornerò a raccontarvi.

Cristina Ortolani

La versione originale di questo articolo è stata composta per Promemoria n. 6; la testimonianza dei fratelli Cardellini è stata utilizzata per la prima volta sul volume Un paese lungo la strada. Montecchio, storie e memorie tra XVI e XX secolo (2008)

La storia del fratelli Cardellini e del loro territorio è stata pubblicata in parte su Un paese lungo la strada. Montecchio, storie e memorie tra XVI e XX secolo e “Promemoria” n. 6

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Ricercatrice free-lance e content editor, laureata tra parola e immagine al DAMS di Bologna, dal 1996 racconta attraverso libri (oltre venti), mostre e progetti multimediali la memoria delle comunità locali tra Marche e Romagna, con sempre più frequenti incursioni in altri territori. Per il web e la carta stampata si è occupata anche di teatro, costume e lifestyle. È nata nel 1965 a Pesaro, dove vive e lavora.

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