
La memoria è labile: digitale di più
Le memorie digitali sono vere memorie?
La mia è l’ultima generazione che ha conosciuto il mondo prima di Internet. Significa, ad esempio che trovo naturale ripescare in garage il manoscritto della mia tesi di laurea di trent’anni fa. Ho un paio di libri appartenuti a mio nonno, e una foto della trisavola di fine ‘800. Sono tutte memorie analogiche. Non eterne, come nulla lo è, ma resistenti e molto, molto longeve.
Il digitale ha cambiato tutto. Non è solo un problema di quantità, perché una vacanza significava scattare al massimo due rullini da 36, oggi scatto più foto in una domenica al mare; è anche un problema di qualità: se le foto stampate hanno una vita di almeno un secolo, le memorie digitali sono note per la loro estrema, e preoccupante volatilità.
Provate a mettere nel videoregistratore quel VHS del concerto degli U2 del 1995. Ah, non avete più un videoregistratore? Tanto meglio, perché il VHS è quasi certamente illeggibile.
Ma forse vent’anni sono troppi. Beh, io ho decine di CD di backup, datano circa sette anni. Tutti illeggibili.
Un CD/DVD dura fra due e 5 anni; un disco rigido dura fra i 3 e i 7 anni; le schede flash durano circa 10 anni. Quindi gli archivi digitali vanno rinnovati ogni 3/4 anni.
Ma che importa? Le memorie digitali, economiche e immense, ci hanno trasformati in bulimici del ricordo e in analfabeti della memoria: vediamo ogni albero, e ignoriamo la foresta. Vogliamo il replay, ma la vita non funziona così. Memoria è saper scegliere ciò che vale e scartare il resto; decidere cosa merita di essere ricordato, forse tramandato. Sulla carta.
Walter Vannini. Padre, informatico, consulente di data-driven business e counselor per nerd, docente di informatica, “food&wine guy” per Where Lemons Blossom. Scrive del lato oscuro della società dei dati su techeconomy.it e in podcast su RuntimeRadio.it. Combatte ideologi del coding, smartopardi e chi vuole nascondersi dietro alla tecnologi

