La scatola dei ricordi - Un paese e cento storie
Blog,  laDirce

La scatola dei ricordi

Dove vive laDirce. In cucina e intorno alla tavola, per estensione nella credenza anni Cinquanta smaltata di azzurro e bianco ghiaccio che da qualche mese occupa una parete del mio studio, nelle vecchie case e anche un po’ in quelle nuove, purché siano ben abitate, nei circoli e negli empori di paese: ecc., ecc., ecc. Ma c’è un luogo dove la si trova a colpo sicuro: la scatola dei ricordi.

Quella che vedete qui sopra è una reinterpretazione delle tante e tante scatole di fotografie e tesori che mi sono state offerte negli anni, insieme con tè e pasticcini, caffè, ciambelle, sambuche e rosolii (nocini, limoncelli, centerbe). Lo scatto fu realizzato  per la prima edizione di Un paese e cento storie (novembre 2005), dunque le fotografie, le lettere e gli appunti manoscritti si riferiscono a Montelevecchie (oggi Belvedere Fogliense) e i colori parlano d’autunno; gli oggetti, invece, provengono dall’archivio personale della Dirce. Per esempio:  una foglia di gingko biloba raccolta vicino a casa (oggi il gingko mi ricorda i compleanni di Maria Teresa Badioli, ma questa è un’altra storia) e l’arabesco d’argento di una passamaneria Swarowski con perle di vetro acquistata in una merceria chissà dove; poi in ordine sparso, il microborsellino e il fiore di rame di una broche primo ‘900 recuperati tra le cose della nonna Zaira (quella del Cynarén), insieme con la stelletta (si chiama così?) e il bottone da collo d’osso; il fragilissimo fiore di stoffa raccolto in una dimora signorile decaduta, la spilla a balia celeste che mi accompagna dai primi passi (1965 o giù di lì).

Indubbiamente la scatola dei ricordi è un archetipo, oggi soprattutto – pare – del fai-da-te (googlate “scatola dei ricordi” e capirete). Per laDirce resta più che altro una “cassetta degli attrezzi“, il sacchetto dei sassolini di Pollicino o la scia di briciole di pane di Hansel e Gretel, che aiutano a ritrovare la strada.

Nelle fiabe, come si sa, non ci sono strade. Si cammina davanti a sé, la linea è retta all’apparenza. Alla fine quella linea si svelerà un labirinto, un cerchio perfetto, una spirale, una stella – o addirittura un punto immobile, dal quale l’anima non partì mai, mentre il corpo e la mente faticavano nel loro viaggio apparente.
Cristina Campo, Gli imperdonabili, 1962.

 

Ricercatrice free-lance e content editor, laureata tra parola e immagine al DAMS di Bologna, dal 1996 racconta attraverso libri (oltre venti), mostre e progetti multimediali la memoria delle comunità locali tra Marche e Romagna, con sempre più frequenti incursioni in altri territori. Per il web e la carta stampata si è occupata anche di teatro, costume e lifestyle. È nata nel 1965 a Pesaro, dove vive e lavora.

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