
Il cuore accogliente di Mamma Ida
Belvedere Fogliense, autunno 2013. “Un cuore dal respiro più grande”: deve essere questo che Ida Pazzini Bartolucci sente ogni mattina, quando apre la finestra della sua bella cucina-soggiorno affacciata sulla Valle del Foglia, che si adagia sotto le mura di Belvedere Fogliense, la frazione del Comune di Tavullia dove Ida vive ormai da più di sessant’anni.
Quando sono arrivata qui il paese era devastato dalla guerra, macerie dappertutto, il freddo era tale che di notte tenevo i panni per il cambio dei bambini dentro il vestito, sul seno, per scaldarli un po’. Se oggi Belvedere Fogliense, dove le “cene in famiglia” sono nate nel 2005, è il borgo fiorente amato da molti, senz’altro lo si deve anche a Ida, che ne è un po’ il nume tutelare, e veglia su queste case antiche insieme con la sua famiglia e con gli altri abitanti, che hanno continuato caparbiamente, nel tempo, ad abitare il loro luogo d’origine.
E’ un paese di donne, Belvedere (non a caso fino al 1922 si chiamava Montelevecchie), e lo si sente appena vi si mette piede: “accoglienza” è la parola d’ordine, e al visitatore che si attarda per strada accade di sentirsi offrire un caffè, e di sedersi da subito intorno a una tavola dove il tempo riacquista connotati profondamente umani.
Quando la incontriamo, Ida è reduce dall’ultima ‘fatica’ delle donne di Belvedere: la festa per il gemellaggio delle parrocchie di San Donato e del Corpus Domini (rispettivamente di Belvedere e Rio Salso, Case Bernardi e Padiglione, frazioni di Tavullia) con la chiesa della Pace della diocesi di Århus, in Danimarca: un pranzo per una sessantina di persone, tutto preparato in casa, dalle lasagne fino a un tiramisù di quasi un metro quadrato. Ad Åarhus mi conoscono come ‘mamma Ida’, e io ne sono contenta perché in qualche modo l’ho proprio cullato, questo gemellaggio: ogni nascita ha bisogno di un grembo, aggiunge Ida, mentre ci racconta con orgoglio di questo patto di amicizia, che si rinsalda ogni anno di più. Figurati che nella chiesa della Pace di Aarhus hanno una parete tappezzata di fotografie di noi di Belvedere: l’hanno inaugurata proprio durante uno dei nostri viaggi di incontro, e vederla è stata un’emozione grandissima.
Allargare lo sguardo, e il cuore: un’attitudine che Ida non ha mai trascurato, nemmeno nei momenti in cui la famiglia assorbiva quasi per intero le sue giornate, con quattro figli e, per un periodo, anche i suoceri e la cognata di cui occuparsi. Poi, quando i miei figli sono cresciuti ho pensato che era giunto il momento di guardare fuori, fuori di me e della mia casa. Tra gli impegni di Ida c’è ormai da molti anni, circa trenta, anche il servizio di volontariato con l’UNITALSI (Unione Nazionale Trasporto Ammalati a Lourdes e Santuari Internazionali). Un’esperienza incredibile, sapessi quanta gioia ti dà accompagnare queste persone, quando torni hai una carica, un entusiasmo… un entusiasmo che brilla nelle sue parole, testimoniato, se ce ne fosse bisogno, dalle foto che ritraggono Ida mentre accenna felice passi di danza al ritorno da Lourdes, insieme alle sue colleghe volontarie.
L’entusiasmo: è come la benzina che mi fa andare avanti ogni giorno, la gioia di fare le cose sempre con il massimo dell’impegno. Quando mi sveglio, ogni mattina, penso che ho un giorno intero davanti a me, un giorno nuovo tutto da vivere: non ho fatto cose importanti, ma mi sento realizzata, perché in tutto quello che ho fatto ci ho messo il cuore. E questo ti mette le ali, ti dà una grande forza.
Ida Pazzini Bartolucci è nata nel dicembre 1928 a Villa Verucchio, dove suo padre era custode di Villa Amalia, la residenza della bellissima cantante e soubrette Gea della Garisenda, al secolo Alessandra Drudi, nota oggi soprattutto per il suo maggior successo, A Tripoli -Tripoli bel suol d’amore, legato alla guerra italo-libica del 1911-‘12. (Da segnalare che anche il nonno materno di Ida, Antonio Sorbini, era impiegato come custode di una residenza nobiliare, la villa detta l’Imperiale, proprietà del conte Castelbarco Albani, sul colle San Bartolo, a Pesaro).
Ogni mattina la piccola Ida era incaricata di destare la signora, intonando una canzone tradizionale romagnola, e porgendole un mazzo di fiori che mia madre, ricorda, confezionava dentro una zucca ornamentale. Era importante per tutti che la signora si svegliasse ‘in buona’, perché come tutte le dive era un po’ capricciosa… ma come le vere dive era anche capace di grandi slanci di generosità, aggiunge Ida: da bambina mi sono ammalata gravemente, mi avevano data per spacciata, e la signora mi ha tenuta con sé un mese, prodigandosi personalmente e impegnando la servitù della villa per le mie cure. Non solo: quando sono nata ha regalato a mia madre un bellissimo corredino, diciamo che ero un po’ la sua mascotte.
Dal 1934 al 1939 la famiglia di Ida si trasferisce in Sardegna, dove al padre era stato assegnato uno dei poderi ricavati dalla bonifica della piana di Terralba (l’allora villaggio di Mussolinia, dal 1944 divenuto Arborea); nel 1939 mio padre ha deciso di tornare verso le sue terre, ma la guerra ci ha trattenuto a Roma, e ha trovato lavoro, sempre come custode, presso la villa del ministro Montemurri. La guerra l’ho presa tutta: tra i ricordi di Ida ci sono nove mesi di notti trascorse nelle grotte di Torre Gaia, dove ci riparavamo dai bombardamenti. Anche in quella situazione però cercavamo di non perdere la speranza, scavando avevo ricavato un piccolo altare in una parete, e oltre a pregare cantavamo, un piccolo segno di gioia anche in guerra.
In quegli anni Ida, in vacanza a Pesaro presso una sorella, incontra il compagno di una vita, Matteo Bartolucci, conosciuto da tutti come Teo. Ida e Teo si sposano a Roma, nel 1952, e da allora saranno inseparabili, fino alla scomparsa di quest’ultimo, nel 2007.
Anche da questo essenziale ritratto si intuiscono le linee di una vita intensa, arricchita da quattro figli (Francesco, Stefano, Chiara e Anna) e da quattro nipoti (Maria e Giovanni, figli di Francesco e Maria Grazia Stocchi e Giacomo e Paolo, figli di Stefano e Beatrice Biagiarelli). Sono l’ultima di tredici figli, commenta Ida, e ho sempre vissuto in famiglie numerose… Deve essere per questo che né Ida né le sue ‘ragazze’, nuore e figlie, si perdono d’animo di fronte alla prospettiva di cucinare per dieci o venti persone, un piccolo esercito che ogni domenica o quasi affolla la grande stanza al piano terra di casa Bartolucci. Di nuovo, quell’entusiasmo che fa miracoli, e che rende leggero il peso del tempo, anche di fronte al ricordo di episodi e anni che si intuiscono duri, sui quali però Ida sorvola con un sorriso.
Mi hai fatto senza fine, recita un verso di Rabindranath Tagore, livre de chevet di Ida; fammi essere | morbida creta | in mano | di sì grande vasaio, fa eco a Tagore la stessa Ida, che, come l’allodola, da tempo ferma i suoi pensieri in brevi poesie di tenace sensibilità. L’allodola canta | anche quando, | sente | il ramo spezzarsi, | perché | sa, | di avere | le ali scriveva Ida il 1° gennaio 1995.
Ali che Ida ha davvero dispiegato nel corso della sua vita, offrendo gioiosamente la sua collaborazione e la sua capacità di accogliere e consolare. Io dico sempre: vivere per ricordare, e, quando non puoi più fare, ricordare per ringraziare.
Come acque | di passate stagioni, | freschi | scendono | i ricordi, | a rinverdire il cuore (Ida Bartolucci, Memorie, 20 giugno 1996).
Accoglienza significa anche aprire la porta a chi vuole raccontare la tua storia, offrirsi allo sguardo dell’altro senza ostentazioni e senza false reticenze. Il nostro incontro con Ida Pazzini Bartolucci si conclude con una cena la cui portata principale sono le erbe di campagna, raccolte da Ida sulla collina poco distante dalla chiesa, accompagnate da pecorino e piadina. Per dessert, una torta rustica con cioccolato fondente e marmellata di arance, la cui ghiotta impronta è rimasta, a futura memoria, sul nostro quaderno di appunti.
Con poche varianti la storia di Mamma Ida è stata pubblicata in Regine. Storie di donne nel ‘900 in provincia di Pesaro e Urbino, a cura di Cristina Ortolani (CNA Pesaro e Urbino, Pesaro 2010).
2 Comments
Gisella Mancini
Bellissima storia di un mondo “piccolo” solo in apparenza, ma che forma, con tante altre storie simili di vita quotidiana, l’essenza di un popolo che mi auguro resti per sempre accogliente come tante mamme Ida.
laDirce
Hai proprio ragione, Gisella. E’ anche questo, per me, il senso di ‘fare memoria’, con questo blog e con il mio lavoro 🙂