
Ginestreto, il paese della Dirce: la Postina racconta
Sulla torta della Dirce Ginestreto, a una decina di chilometri da Pesaro, rappresenta il borgo dei nonni, il luogo delle radici: per farci raccontare come è cambiato incontriamo Elvezia Baronciani, classe 1924
Ginestreto di Pesaro 8 marzo 2017. La chiesa parrocchiale con il campanile a cipolla, i resti – amorevolmente curati – dell’arco d’ingresso al castello, una manciata di case tenacemente abitate; a poche centinaia di metri la millenaria pieve vecchia, forse la chiesa più antica della diocesi di Pesaro: una skyline, l’abbiamo anticipato sul primo numero di questo foglio, pressoché invariata negli ultimi cinquecento anni. Intorno, un panorama tra mare e colline che nei giorni chiari come oggi rivela la sagoma inconfondibile del Conero.
Sulla torta della Dirce Ginestreto sta per il borgo dei nonni, il luogo delle radici, il paese della memoria. Per farci raccontare come è cambiato incontriamo Elvezia Baronciani: classe 1924, quasi novantatré anni vissuti nel Borgo, entro il perimetro di un triangolo di nemmeno 50 metri di lato, e migliaia di chilometri percorsi a piedi, in bicicletta, a bordo di una 500 (verdina, precisa lei). La storia di Elvezia si snoda tra XX e XXI secolo ma le sue parole sanno di tempi antichi, e la realtà delineata in quasi tre ore di brillante conversazione mostra più di un punto in comune con quella descritta nel 1884 negli atti dell’Inchiesta Jacini, il primo grande reportage sulla classe contadina italiana. Dalla prima alla quarta elementare la scuola era quasi sempre nel castello, dalle suore (le Maestre Pie dell’Addolorata, ndr), la quinta invece era a Sant’Angelo (Sant’Angelo in Lizzola, il paese amico e rivale di campanile, distante poco più d’un chilometro). Dopo la scuola ho cominciato subito a lavorare. Mungevo le mucche e vendevo il latte, lo consegnavo due volte al giorno, la mattina e la sera. Quasi vent’anni a fare la spola tra Ginestreto e Sant’Angelo in Lizzola, con il bottiglione nella gluppa, prima a piedi poi in bicicletta, fino al matrimonio con Nello Zaffini, nel 1954. Nel 1948 sono andata a Roma per due volte. La prima in gennaio, con la Contessa, che mi ha ospitata per quindici giorni e mi ha accompagnata all’udienza di Pio XII. “La Contessa”, ovvero Giuliana Raffa Spannocchi, scomparsa nel 1951, proprietaria di Villa Montani, antico casino di caccia all’ingresso del paese oggi sede della Fondazione Scavolini. Gran signora dai modi spicci, la sua figura è indelebilmente impressa nella memoria dei ginestretesi, che tuttora sembrano considerarla una sorta di genius loci.
Alla nascita di Elvezia si contano in paese quasi 2000 abitanti (1958 secondo i dati del censimento del 1921, gli ultimi relativi al Comune di Ginestreto, nel 1929 divenuto frazione di Pesaro); negli anni tra le due guerre i ricordi fotografano un paio di osterie, una delle quali con annessa rivendita di generi alimentari, un paio di negozi/empori, un numero imprecisato di artigiani, le cui botteghe animano soprattutto i vicoli del castello. E poi, almeno fino agli anni Sessanta del ‘900 la Banda, la festa del Corpus Domini con le strade colorate dal giallo delle ginestre, appese a fasci sui muri di ogni casa (dopo qualche giorno c’era chi passava a raccogliere i rami secchi per il camino) e la Sagra della Quaglia, memorabile appuntamento che ha portato a Ginestreto nientemeno che Orietta Berti e Mino Reitano.
Quasi un secolo più tardi (31/12/2016) l’Ufficio Statistica del Comune di Pesaro registra nel “rione Ginestreto” una popolazione di 474 unità (240 maschi e 234 femmine): 226 i residenti tra borgo e castello (23 gli stranieri, su un totale di 36, provenienti da paesi UE/extra UE), mentre delle 194 famiglie censite ben 71 sono composte da una sola persona. Ginestreto non fa eccezione rispetto a tanti paesi d’Italia. I pochi residenti invecchiano (122 sono gli ultrasessantacinquenni, mentre la fascia d’età più rappresentata è quella compresa tra i 41 e i 64 anni: 179 persone); chiuso da tempo l’ufficio postale, anche gli indomiti gestori del Circolo hanno gettato la spugna qualche mese fa, e per un caffè o una sosta resta aperto il bar di fronte alla scuola. Nonostante tutto, però, si leggono qua e là segni di cura e attenzione: la facciata di una casa riverniciata di fresco, un piccolo, ordinato spazio verde, i fiori che ornano l’immagine della Madonna appena sotto l’arco del castello.
Nel 1972 ho fatto domanda per diventare portalettere. Dopo diverse destinazioni finalmente mi hanno assegnato a Ginestreto… Consegnavo la posta a Villa Ceccolini e nella zona industriale. Figurati che c’era talmente tanta corrispondenza che spesso e volentieri ritornavo giù anche il pomeriggio. Dovevi vederla, la mia 500 verdina piena di pacchi. Nella zona industriale di Ginestreto, alle pendici del colle dove sorge il castello, sono nate nel secondo dopoguerra alcune delle più importanti aziende del distretto del mobile pesarese, attive in particolare nella produzione di cucine. “La più amata dagli italiani”, Scavolini, fondata nel 1961, ne è l’esempio più noto e longevo.
Tante pagine in più occorrerebbero per dar conto della vita di Elvezia, simile a quella di molte altre donne e allo stesso modo esemplare: la guerra, la scomparsa prematura del marito, nel 1977, i tre figli e ora i nipoti, e poi la fatica quotidiana, mai disgiunta dalla consapevolezza di aver attraversato un secolo e di poterlo raccontare con schietta ironia. Per questa volta ci fermiamo qui ma, prima di salutarla, dedichiamo a Elvezia la Dircemadeleine di questo numero, la zuppa di pane che per molte famiglie di Ginetsreto e dintorni è ancora la portata principale del pranzo di Pasqua.
Cristina Ortolani

