
Alla ricerca delle musiche e dei balli perduti
di Thomas Bertuccioli
Questo post è stato pubblicato per la prima volta sul blog Farememoria nel gennaio 2015
ed è apparso anche su numero 5 della rivista “Promemoria”
Nella salda e imprevedibile tessitura composta dai fili della memoria sul territorio ricordiamo la partecipazione di Franco Calbini alla decima edizione di Un paese e cento storie, dove, insieme con i Benandanti, ha suonato alcuni apprezzatissimi e partecipati balli della tradizione. Grazie di nuovo a Franco, dunque, e soprattutto a Thomas, per la tenacia con cui ha cercato e raccolto questa preziosa testimonianza

Ho scelto di pubblicare l’intervista a Franco Calbini (1) perché,
tra le tante realizzate durante le mie ricerche, è stata la prima intervista
che ho fatto ai suonatori tradizionali della mia zona ed anche uno degli
incontri per me più importanti e significativi. Dopo una decina d’anni di
ricerche sulle danze e la musica tradizionale dell’anconetano (2),
motivato dalla credenza che nella mia zona di origine (il pesarese) la
tradizione fosse scomparsa ormai da tanto tempo, ho iniziato finalmente ad
occuparmi delle mie radici e a cercare e ricercare anche nel mio territorio le
tracce e le storie degli ultimi suonatori e danzatori tradizionali (3).
L’incontro con Franco è legato a delle coincidenze non casuali. Ero venuto a
sapere, con mia grande sorpresa, che uno dei suonatori di fisarmonica che
animava un tempo le veglie nelle campagne intorno a Pozzo Alto era ancora vivo
e abitava a Case Bruciate: si chiamava Aldo Calbini (4). Un giorno parto da
casa con l’intenzione di incontrarlo, chiedo indicazioni al negozio di
alimentari ed arrivo alla via dove abita. Dopo aver parcheggiato domando ad una
signora che sta scendendo dalle scale se conosce Aldo Calbini e lei mi dice
“Sì! certo abita proprio lì!” ed indica la casa a fianco alla sua e poi
continua “…ma chieda direttamente al figlio sta venendo proprio adesso verso di
lei!”. Giro lo sguardo e vedo un signore alto con i capelli bianchi e gli occhi
azzurri: era Franco Calbini. Gli spiego cosa sono venuto a fare, che avrei
voluto incontrare suo padre e nello stesso momento lui rivolge le mie stesse
domande a voce alta ad una signora che si stava sporgendo dal balcone e che fa
subito segno di no con le braccia fuggendo dentro casa… nello stesso momento
una testa sporge dalla finestra del balcone, mi sorride e scompare di nuovo:
era Aldo Calbini! Se non avessi incontrato per puro caso Franco (che non doveva
essere lì quel giorno..) probabilmente sarei ritornato a casa amareggiato,
perché difficilmente Aldo e sua moglie mi avrebbero aperto la porta a quell’ora
di cena e con i tanti ladri che percorrevano da un po’ di tempo quelle vie… e
non avrei potuto raccontare questa storia dove il figlio racconta del padre
suonatore che è troppo timido per farsi intervistare e che ancora non sono
riuscito ad incontrare… e di come ha imparato anche lui a suonare la fisarmonica
dal padre quando lo seguiva piccolissimo durante le numerose veglie da ballo, e
quindi, in sostanza, di come si trasmette nel tempo la tradizione.
Le tre foto di Franco da bambino, la prima a tre anni seduto al centro sulle
ginocchia della madre con a fianco Aldo in piedi con la sua fisarmonica, la
seconda a otto anni con lo strumento del padre che è passato nelle sue braccia
e poi l’ultima mentre suona con fierezza la sua prima nuova fisarmonica,
esprimono tutto il senso di questa trasmissione
L’intervista a Franco Calbini
THOMAS: …questa qui di che anni è?
FRANCO: Quella è del ‘37-’38 (5), non lo so di preciso… questa è l’originale però è alla rovescio.
Perché venivano alla rovescio una volta, lui non aveva la tastiera così?
Infatti gliel’ho chiesto: “Te avevi la fisarmonica a sinistra?” e lui ha detto: “No!”… allora è la fotografia! [ci mettiamo a ridere insieme]. Vedi… poi questa l’ha spedita alla sorella “Ricorda per sempre…”, non so perché dicevano per sempre, “…tuo fratello Aldo” .

Quanti anni avrà avuto..?
Diciott’anni, diciannov’anni! Questa è del ‘51, io avevo tre anni perché sono del ‘48.
Questa è bellissima!
Questa è mia madre… questo è lui con la fisarmonica che è uguale a quella lì [mi indica la fisarmonica del padre].

Questa è la casa dove vivevate là a San Germano?
Sì! a San Germano! Lassù davanti casa, nell’aia… si diceva una volta […]. Poi gli ho chiesto: “Durante la guerra suonavi.. sì?” “Sì, suonavo!” però dice “Quando stavano per arrivare i tedeschi l’ho messa in una cassa! Ancora ce l’ho quella cosa lì… è una cassa di ferro dove tenevano le bombe”. La cassa dove tenevano le bombe la lasciavano in giro dopo, lui ha preso questa cassa per mettere la fisarmonica e l’ha nascosta nel letame, sotto il letame, perché arrivavano i tedeschi e portavano via tutto, bestiame e cose varie.
Questa fisarmonica qui!
Quella lì! L’ha nascosta sotto il letame durante la guerra… e dopo pensava… ci sarà più? Sarà arrugginita? Sarà fraida [fradicia]? E dopo l’ha presa e passata la guerra [ride] l’ha ritrovata com’era!(6)
Fantastico!
Però pensava, diceva… è stata lì sotto il letame, nel mucchio del letame dei contadini, no? L’ha nascosta lì perché arrivavano i tedeschi… portavano via i polli, portavano via le mucche, vacche e compagnia bella… portavano via tutto quel che c’era.
C’era affezionato… eh!
C’era affezionato… anche perché magari novecento lire adès a ne niént [adesso non sono niente] ma quella volta era una cifra. Penso che era due-tremila euro d’adesso sicuro.
Questa è una Silvestrini…
Aldo Silvestrini.
Aldo! Si chiamava come tuo babbo allora..?
Come mio babbo sì! In pratica ha fatto questa fisarmonica qui usata, dopo gli è venuta voglia di farla quella nuova si vede c’la volta con mio zio, che sarebbe il fratello del nonno, del padre suo… faceva il capoccia si diceva una volta. Al tempo dei contadini c’era il capo che faceva tutti i conti, no? Capoccia si chiamava, era lui che amministrava i soldi per vendere il grano, comprare le scarpe, quelle cose lì. E allora è andato giù con lui con due biciclette a Mondolfo a comprare questa qui. Da San Germano con due biciclette fino laggiù e novecento lire ha speso.
Ancora suona?
Sì! suona suona! [va ad indossare la fisarmonica del padre].
Ma tu la suoni? Hai imparato un po’ con questa?
Io ho imparato si! Un po’… dopo questo l’ho riparato io [il gancio del cambio dei registri]. Vedi che è tutta rovinata… il cambio funziona, ma però sono rimaste solo delle voci che suonano. Questa è la prima canzone che mi ha insegnato lui e che ho imparato da lui [Franco suona un valzer con la fisarmonica del padre Aldo].
Bella!!
Questa è la prima canzone che ha imparato mio padre nel ’37 ’38 così… o nel ’36.
Che ha imparato lui addirittura…
Sì! Dopo a me mi ha insegnato senza musica… dopo io un po’ la musica l’ho studiata ma così…
Come si chiamava questa?
In campagna cantando si va, sarà degli anni ’30 questa.
Tuo babbo quindi ha imparato dal maestro?
Ha imparato dal maestro e un po’ senza musica. Dopo è andato con la musica anche da uno di Tavullia mi sembra diceva prima, però il nome è in dialetto, non so, mi diceva Màs o qualcosa del genere. Non so se è il nome e il cognome giusto oppure se è il soprannome, perché una volta si usavano i soprannomi. Per esempio mio padre e noi ci chiamiamo Calbini, però ci chiamavano Ventura. Ognuno aveva il soprannome quando eravamo contadini. Quindi gli anziani conoscono più Ventura che Calbini.
E quindi suonava il valzer, queste cose qua?
Più che parte quelle canzoni lì, i valzer…
Ne sai qualcun’altra?
Le so… ma non mi alleno perché chi è che suona..? [Franco suona il Carnevale di Venezia e Piemontesina bella]. Dopo con questa facevano il Ballo della sedia (7)! [Franco suona il Ballo della sedia]
Il Ballo della sedia… ma ti ricordi come veniva ballato? Era quello dove si invitava a ballare? C’era il capo ballo?
Sì sì! Si invitava, uno si metteva nella sedia…

Era uno che si metteva da solo, oppure c’era chi decideva?
Iniziavano con uno, o donna o uomo… mettevano l’uomo a sedere lì e poi portavano la donna. Se lui era d’accordo ballava se no girava la sedia in pratica…
Iniziavano con un uomo?
No, anche con la donna, facevano un po’ per sorta… se era l’uomo portavano la donna, se era la donna portavano l’uomo. Dopo facevano gli scherzi, perché magari portavano alla moglie e lui girava la sedia… perché non voleva ballare con la moglie voleva ballare con le altre e viceversa… [ride] […].
Ma il Ballo della sedia, quindi, si ballava qui in zona..?
Sì! Si ballava nelle case di campagna.
Ma si ballava qui… le zone quali erano?
La zona era San Germano dove vivevamo noi, era Pozzo Alto, Tavullia, Monteluro, Tre Ponti. Anche qui in zona di Pozzo, qui nella zona… che io mi ricordo, poi se lui è andato più lontano non so! [ride tra sé]
[…] Oppure facevano il Ballo della scopa! Magari facevano un valzer normale… ballavano tutti e uno era libero, no?
Sì! con la scopa…
Rimaneva con la scopa in mano… e dopo andava a prendere la donna che voleva e rimaneva l’altro libero e dopo quando finiva di suonare la canzone chi rimaneva con la scopa, in pratica, rimaneva fregato.
E cosa gli facevano?
Gli facevano un applauso!
Un applauso e basta?
Doveva stare attento di non rimanere con la scopa in mano mentre finiva la musica, doveva stare attento, sapeva che oramai era bella e finita allora cercava di darla all’altro… era un passamano.
Però non è che gli facevano fare una penitenza?
No! no! Solo così… qualcuno dopo smetteva anche prima qualche volta per fargli uno scherzo… no? Magari uno dice tanto la canzone è iniziata adesso… dice vado con calma… cercava la donna che voleva lui… no? E invece magari mio padre smetteva tac! e quello rimaneva con la scopa in mano… il Ballo della scopa che io mi ricordo eh!
Tuo padre decideva lui alla fine!
Sì! invece di fare normale faceva più corto per fare uno scherzo così…

Ma si usavano i valzer per il Ballo della scopa più che altro?
Sì, sì, sì! Più che altro… a parte che mio padre suonava, che mi ricordo io, i valzer. Anche perché quella volta non è che era come adesso che c’erano tanti motivi voglio dire…
Eh! quali è che c’erano?
I valzer, i tanghi, quelle marce e qualche cosa così… poi gli spartiti sono quelli là! Papaveri e papere…
Ah! questi qui sono gli spartiti di tuo padre! Ma lui studiava sugli spartiti quindi..?
No! All’inizio ha detto che ha imparato senza musica, no? Che c’era uno che insegnava.
Ecco! chi era questo insegnante, ti ricordi… e di dov’era?
Eeeh… Barbanti mi sembra… Barbanti di Pesaro, ma a st’ora sarà mort da un pezzo perché. Barbanti mi sa che diceva… però lui non sapeva la musica, lui gli insegnava a suonare.
Eh! Infatti sono quelli che a me interessano… sono i suonatori tradizionali!
Dopo è andato a Tavullia da uno che si chiamava Màs mi sembra… che insegnava anche la musica. Ha imparato anche la musica, tant’è vero che dopo iniziava a comperare anche gli spartiti. Non è che magari con la musica sapeva com’è… però insomma. Anche perché non è che era come adesso, prima non c’era neanche la radio.
A me interessa proprio quella musica lì, quella che io chiamo tradizionale, quella che veniva tramandata di padre in figlio, da nonno a nipote… […] Il Saltarello tuo babbo non l’ha mai suonato?
Mi sembra un po’ di ricordarmi qualcosa…
Questo Barbanti non gli ha insegnato anche il Saltarello, perché so che si ballava anche a Pesaro (8)?
Sì! Mi sembra che il Saltarello sì, ma io… perché mi ricordo poco anch’io… il Saltarello… poi cosa c’era che suonava dopo anche… la Furlèna diceva.. la Furlèna!
La Furlèna!
Sì! Questa mi ricordo che la facevano, però an m’arcord come fa.
Però la Furlèna la ballavano?
Sì sì sì! Perché si mettevano a coppie due per due… passavano, no? Una roba del genere…
Ti ricordi qualcosa anche del ballo, qualche immagine…
Sì! mi ricordo la Furlana che passavano. Erano quattro cantoni, due per parte, no? Due, due quattro, due sei e una otto, poi si incontravo per traverso così… mi sembra. E sì! Adess la m’e nuda in ment [adesso mi è venuta in mente]. Sì! Perché le cose vengono in mente parlando magari…
E tuo babbo di sicuro la sapeva suonare..
Sì la sapeva suonare! Adess a nel so…
[…] Dopo poi negli anni ’50 è arrivato Casadei, quindi anche mio padre faceva le canzoni di Casadei, tanto il repertorio è quello lì. Dopo è arrivato il Twist e lui ha smesso perché molti chiedevano il Twist, ma il Twist con la fisarmonica… [ride] non ce la faceva a farlo, no? È difficile a farlo per un suonatore… perché il Twist con la fisarmonica non è che viene un gran ballo. […] E dopo da quella volta… dagli anni ’62-’63 è andato ad abitare a Case Bruciate. Da lì dopo son spariti tutti i contadini, sono sparite tutte le tradizioni… e suonava così a casa e basta. Se no una volta venivano a chiedere… a chiamarlo a casa.
Lo venivano a chiamare a casa… eh! Come funzionava una volta, lo chiamavano la sera stessa?
No! Adesso non mi ricordo io, ma comunque durante la settimana magari… e la sera c’era il veglione oppure il ballo lì nella casa del contadino. E lui partiva con la fisarmonica, io mi ricordo con la Lambretta, ma può darsi che prima andava in bicicletta. Negli anni ’30-’40 la Lambretta non c’era ancora, la Lambretta l’ha fatta, non so, nel ’55-’56… mi sembra. Mi ricordo che io andavo con lui con la Lambretta… con la fisarmonica piccola dodici bassi e lui con questa qui… con la Lambretta per Monteluro [ride]!
E tu quanti anni avevi?
Io avevo dieci, otto, nove anni.


E poi qualche pezzettino lo facevi anche tu?
Qualche pezzettino lo facevo anch’io… senza musica quella volta, perché ancora la musica… non andavo neanche alla scuola.
Cioè li avevi imparati a orecchio con lui?
Sì sì! con lui.
Te li aveva insegnati lui?
Mi insegnava lui… sì, sì!
Ma chissà se anche te non ti ricordi qualche pezzettino di quelli vecchi vecchi, quelli che ti vengono in mente…
Quelli che suonava lui? Non mi ricordo nemmeno se mi viene in mente, mi ricordo questo qui… [Franco suona un pezzo vecchio che sentiva suonare dal padre]. Comunque, l’avrò suonato due volte io [ride], mi ricordo da quando suonava lui…
Questa è una di quelle vecchie vecchie?
Sì sì!
E questa musica ha anche un nome… ti ricordi?
Non so se è Festa di luce e calor, mi sembra. Mi ricordo che m’è rimasta impressa perché la sentivo spesso quando andavamo a sentire, no? Io non è che andavo sempre a suonare con lui, ma però noi andavamo a sentire. Eravamo bambini, noi andavamo coi genitori… quindi tutta la sera sempre “Gne, gne!” [ride] Dopo passavano alle undici, o alle dieci, mezzanotte, non so… coi dolci… ballavano fino all’una le due. […] Mi ricordo che si metteva sopra una tavola o su delle cassette dell’uva… ci sono quelle cassette dell’uva… mettevano lì il suonatore in pratica. O sopra il tavolo, spostavano il tavolo…
In piedi o a sedere?
No, no! A sedere! Una sedia sopra qui! [indica il tavolo]
Ah! La sedia sopra!
Sì! La sedia sopra perché non poteva essere in basso come gli altri, no? La mettevano in alto. Adesso c’è il palco, una volta il palco non c’era… o con le cassette dell’uva, oppure con la sedia sopra alla tavola!
E lui suonava da solo però… non è che c’era uno che lo accompagnava, con il tamburo..?
No, no! Da solo, da solo. Solo fisarmonica. […] Dopo poi… ti ho detto l’altra volta… quando si son sposati in comune a Tavullia. Mio padre e mia madre son andati su in bicicletta a sposarsi in comune… prima si sposavano in comune poi in chiesa, no? Ora il 25 aprile son andati su a sposarsi a Tavullia e nel ritorno hanno imparato dalla gente “Vara [guarda] che è finita la guerra!”, il 25 aprile, no? E la sera han festeggiato nella scuola di Case Bruciate ballando! Dopo si son sposati il 2 giugno.
E ha suonato anche lui… o c’era qualcun altro?
Sì, sì, sì! Lui suonava! In pratica han festeggiato la fine della guerra nelle scuole di Case Bruciate lì.
Pensa te! Si è sposato proprio il giorno in cui è finita la guerra!
Sì! In comune sì! Proprio il giorno che è finita la guerra… han festeggiato giù nelle scuole di Case Bruciate.
E adesso festeggiate voi tutti gli anni..?
Festeggiamo il 2 giugno quando si son sposati. Festeggiamo… delle volte magari. Del ‘45… quanti anni sono? Sono 68 anni! 68 anni di matrimonio quest’anno!
Bisogna festeggiare!
Poi, alla fine, sono riuscito ad incontrare Aldo Calbini qualche giorno fa quando dovevo passare a prendere delle foto per l’articolo. È venuto giù di sotto e si è messo accanto a me curioso e insieme a sua moglie Laura mi hanno raccontato tante cose sulla vita, le musiche e i balli di una volta (che spero saranno il seguito di questa intervista).
Anche le tradizioni musicali che sono rimaste nascoste per tanto tempo possono ritornare in vita all’improvviso, proprio come una fisarmonica può resuscitare dal letame e continuare ancora a suonare.


Thomas Bertuccioli. Da più di dieci anni impegnato nella ricerca e nella riproposta della musica e della danza tradizionale ha iniziato lo studio dell’etnomusicologia con Roberto Leydi all’Università di Bologna. Attraverso l’associazione L’albero del maggio di cui è co-fondatore ha approfondito e divulgato la conoscenza delle tradizioni musicali e coreutiche delle Marche e delle diverse regioni italiane ed europee, organizzando corsi, laboratori, eventi e Festival (in particolare laMarca eurofolk e il Ballo di San Vito). Suona l’organetto, la chitarra e i tamburi a cornice riproponendo le musiche, i canti e le danze raccolte dagli ultimi testimoni della civiltà contadina e cercando di ricreare il clima semplice e gioioso delle loro feste (anche con il gruppo dei Benandanti). Nel suo girovagare musicale ha partecipato ad alcuni dei più importanti Festival di musiche e danze tradizionali in Italia e all’estero (Capodanze, Zingaria, Venezia balla, Tradicionarius – Spagna, Boulegan – Francia, Andancas – Portogallo). Da più di un anno ha iniziato una ricerca sulla danza e la musica tradizionale della sua zona d’origine, cioè la provincia di Pesaro-Urbino e la zona di confine tra le Marche e la Romagna. Conduce corsi di danze popolari, insegna musica e strumenti tradizionali (organetto, chitarra, tamburi a cornice, canto) e tiene laboratori di attività espressive, musica e danza nelle scuole e nei centri estivi. E’ facilitatore del Respiro che Trasforma (Transformational Breath).
Fonti e tracce
(1) L’intervista a Gianfranco Calbini (nato a San Germano, Tavullia, nel 1948) registrata il 4 aprile 2013 nella sua casa a Borgo Santa Maria (Pesaro) non viene qui pubblicata nella versione integrale, ma è stata tagliata e rimaneggiata seguendo le esigenze editoriali.
(2) Attraverso le attività dell’associazione L’albero del maggio di cui sono co-fondatore. I risultati di queste ricerche sono stati in parte pubblicati attraverso i cd legati al Festival laMarca eurofolk e al progetto Cohabitat di cui era espressione, in particolare nel volume 3, doppio cd/dvd dedicato alla tradizione marchigiana della provincia di Ancona allargata (valli dell’Esino, del Musone e del Potenza).
(3) Devo ringraziare Gualtiero Gori per avermi invitato, a fronte della sua lunga esperienza, a non desistere e ad occuparmi anche del mio territorio. La sua ricerca sulla danza e la musica tradizionale in Romagna rimane uno dei punti di riferimenti principali; in particolare i due cd frutto della collaborazione con G.M. Gala (G. Gori e G.M. Gala, a cura di, Vecchi balli di Romagna, cd vol. 1 e vol. 2, Ethnica n. 9 e n. 17 , Firenze, Ed. Taranta). L’altro punto di riferimento fondamentale per la mia ricerca sulla zona di confine tra Marche e Romagna è il lavoro di Alessandro Sistri sulla Valconca; cfr. Cultura tradizionale nella Valle del Conca, Milano, Silvana Editoriale, 2003.
(4) Aldo Calbini detto Ventura (nato a San Germano, Tavullia nel 1919) ha fatto il contadino fino agli anni ’60 quando si è trasferito a Case Bruciate ed ha iniziato a lavorare come falegname.
(5) Perché nel 1938 Aldo ha comperato la fisarmonica nuova, questa l’aveva pagata 350 lire usata.
(6) La fisarmonica è rimasta nascosta sotto il letame per diversi mesi dall’inizio dello sfollamento per l’arrivo del fronte alla fine del giugno 1944 fino all’ottobre, novembre successivo.
(7) Il Ballo della sedia era un ballo molto diffuso in zona, mi è stato cantato con le strofette anche da un altro informatore di Villa Betti ed è stato registrato e documentato anche da Alessandro Sistri in paesi molto vicini a San Germano come Montegridolfo e Saludecio nella sua ricerca sui balli e le musiche della Valconca.
(8) Una testimonianza scritta del ricordo del ballo del saltarello nel pesarese, in particolare a Villa Fastiggi, l’ho trovata nel libro e nei racconti di Adriano Campanari (cfr. Streghe, maghi e fattucchiere di campagna, canti, proverbi e usanze, Pesaro, Litocolor, 2012, pp. 240-241) dove parla anche del ballo della sedia e di quello della scopa. Invece del saltarello che si ballava a Tavullia (ex Tomba) durante il carnevale, quindi molto vicino a San Germano, ne parla Igino Balducci (cit. in C. Ortolani, a cura di, U come uomini, I come immagine, Tavullia, 2003, pag. 91)

No Comments
Fiorella
sicuramente conosceva il mio nonno (mingon) e tutti quelli di pozzo alto che suonavano!!!!!!
Davide Bartoli
Buongiorno Fiorella, leggo solo ora questa pagina. Il soprannome della mia famiglia era Mingón, mentre il cognome è Bartoli. Siamo parenti?
miss nettle
Grazie a tutti per i commenti!
Mi fa piacere che a diversi anni dalla pubblicazione l’articolo sia ancora letto 🙂
Come forse avrete notato questo blog non è più aggiornato; il mio lavoro sulla memoria prosegue comunque su https://ladirce.it. Fateci un salto e, se vi va lasciatemi un vostro commento 🙂
Grazie!
katusc
Grande testimonianza.
Ciao, Thomas!
orastrano
Gran bel lavoro. Complimenti, Thomas.
Aspettiamo con ansia le puntate che verranno.